Al giornalista irlandese David
Walsh qualcosa non era mai andato giù
dei boom improvvisi di buoni atleti e piccoli campioni, diventati di colpo
monumenti dello sport mondiale. Uno per tutti, in particolare, il ciclista
americano Lance Armstrong, il cui successo si deve ad un cinico progetto illecito
di potenziamento esponenziale delle capacità agonistiche: “The program”, titolo del libro di David
Walsh (di recente
proposto in Italia da Sperling & Kupfer, 420 pagine, 18,90 euro), dal quale
è stato tratto il film omonimo di Stephen Frears, con Ben Foster e Dustin
Hoffman. Prima del 1999, Armstrong aveva disputato quattro Tour de France,
dimostrandosi un corridore valido, ma mai tanto da far pensare che un giorno
sarebbe stato capace di vincerne sette di seguito. Infatti, per farlo ha dovuto
dare vita alla più impenetrabile campagna scientifica di doping applicato allo
sport.
Walsh ha cominciato a sospettare dal primo Tour vinto da Lance, ma la conferma dei dubbi è arrivata solo nel 2012, con la conseguente revoca di tutti i successi e, quel che è peggio, con la pesante ammissione da parte di Armstrong. Per campioncini e gregari non c’era scelta: solo entrando nel programma si poteva far parte di una formazione famosa, vincente e generosa con i suoi ciclisti. Il doping era diffuso nel mondo del ciclismo internazionale anni ’80-’90, mai però pianificato scientificamente come nel caso di Armstrong: Epo e poi autoemotrasfusione, più un larghissimo uso di sostanze per coprire le tracce e risultare immacolati ai controlli antidoping. Fin dal Tour del 1999 Walsh aveva quindi cominciato a dubitare delle performance inedite del texano. Cinque anni prima, il giovane Lance, promettente campione in prospettiva, aveva accusato un pesante distacco nei 6,8 chilometri del prologo a cronometro in Vandea. Quell’anno, invece, nonostante la chemioterapia affrontata per sconfiggere il tumore ai testicoli, Armstrong aveva stracciato perfino il miglior risultato sullo stesso percorso di un grandissimo delle corse contro il tempo, come Miguel Indurain. Nelle tappe successive, era diventato all’improvviso perfino uno scalatore imbattibile. Nasceva più di una gelosia, ma si alimentava contemporaneamente il mito del Tour della rinascita dagli scandali doping del 1998, una resurrezione legata ad un campione “rinato” dal cancro e capace di attrarre sulla corsa francese l’attenzione dei grandi media americani.
Walsh ha cominciato a sospettare dal primo Tour vinto da Lance, ma la conferma dei dubbi è arrivata solo nel 2012, con la conseguente revoca di tutti i successi e, quel che è peggio, con la pesante ammissione da parte di Armstrong. Per campioncini e gregari non c’era scelta: solo entrando nel programma si poteva far parte di una formazione famosa, vincente e generosa con i suoi ciclisti. Il doping era diffuso nel mondo del ciclismo internazionale anni ’80-’90, mai però pianificato scientificamente come nel caso di Armstrong: Epo e poi autoemotrasfusione, più un larghissimo uso di sostanze per coprire le tracce e risultare immacolati ai controlli antidoping. Fin dal Tour del 1999 Walsh aveva quindi cominciato a dubitare delle performance inedite del texano. Cinque anni prima, il giovane Lance, promettente campione in prospettiva, aveva accusato un pesante distacco nei 6,8 chilometri del prologo a cronometro in Vandea. Quell’anno, invece, nonostante la chemioterapia affrontata per sconfiggere il tumore ai testicoli, Armstrong aveva stracciato perfino il miglior risultato sullo stesso percorso di un grandissimo delle corse contro il tempo, come Miguel Indurain. Nelle tappe successive, era diventato all’improvviso perfino uno scalatore imbattibile. Nasceva più di una gelosia, ma si alimentava contemporaneamente il mito del Tour della rinascita dagli scandali doping del 1998, una resurrezione legata ad un campione “rinato” dal cancro e capace di attrarre sulla corsa francese l’attenzione dei grandi media americani.
tratto da : http://www.sololibri.net/The-program-David-Walsh.html